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Maternità e social media: quando il confronto genera frustrazione

Ho il sospetto che essere madre sia sempre stato difficile e che continuerà ad esserlo anche in futuro. Limitandomi al qui e ora che posso toccare con mano mi viene da dire che oggi ci sono alcuni strati di complessità mai affrontati dalle generazioni precedenti. Fra questi, quello che mi balza all’occhio per primo è il fatto che ciascuna di noi si porta in tasca uno strumento che ci permette di essere sempre connesse con il resto del mondo e, di conseguenza, di poter confrontare la nostra esperienza con quella di decine di migliaia di altre mamme; mamme che, però, non conosceremo mai davvero e di cui, soprattutto, non sapremo mai il vero grado di autenticità. Avere accesso a tutto lo scibile esistente in ogni momento è una grande risorsa, ma è anche un’arma a doppio taglio. Lo è ancor di più poter sbirciare nella vita delle altre persone senza dover chiedere il permesso.

Prima di diventare mamma mi capitava raramente di confrontare quello che avevo con quello che vedevo in giro, andavo dritta per la mia strada e via. Poi è nata BabyL e la musica è cambiata fin da subito. Credo sia normale: quando si diventa mamma per la prima volta ci si ritrova quasi immediatamente “sole” a gestire un’altra vita umana e farlo, molto spesso, non è come ce lo eravamo immaginate. L’insicurezza è all’ordine del giorno e vengono dubbi su quasiasi argomento che riguardi la creatura: allattamento, pisolini, curve di crescita, giochi da proporre, svezzamento, metodi educativi e potrei continuare questo elenco all’infinito, credo. Non dimenticherò mai la ricerca di oltre mezz’ora fatta su Google insieme a un’altra neomamma per capire quale fosse il miglior aspiratore nasale attualmente in commercio (ma c’è poi qualcuno che lo chiama così e non tiracaccole?). Ogni dubbio, ogni domanda è occasione di confronto e la mamma alle prime armi agogna qualsiasi tipo di informazione che potrebbe aiutarla nel suo compito di cura quotidiano. Inutile dire che, al netto delle telefonate fatte all’amica che ha già avuto figli, alla propria madre (che giustamente ricorda in modo vago cosa faceva trent’anni prima e non è aggiornata sulle ultime linee guida dell’OMS), al pediatra che spesso è difficile trovare (per non dire che nemmeno lui è aggiornato), le ricerche su internet si sprecano e la maggior parte delle volte è possibile leggere tutto, ma anche il contrario di tutto con il solo risultato di ritrovarsi più confuse e ugualmente insicure rispetto a prima. Non solo, con la presenza sempre più importante di professionisti che divulgano via social, ciascuno fedele all’approccio che sposa, è facile incappare in moli di informazioni discordanti e troppo grosse per essere digerite, soprattutto nelle nebbie del postparto.

Già questo è sufficiente a generare un certo grado di frustrazione, ma la frustrazione, quella vera, almeno secondo la mia personale esperienza, subentra quando per noia e/o per mancanza di tempo e forze per dedicarsi a un hobby più complesso si finisce per scrollare passivamente i feed dei social a cui si è iscritti. I nostri occhi e le nostre menti si riempiono di foto e video accattivanti (e si sa, un’immagine vale più di mille parole) che, tendenzialmente, mostrano una realtà finzionale che non coincide con la realtà reale e, pur sapendolo, è difficilissimo non cadere nel trappolone del confronto malsano.
Cosa intendo per confronto malsano? Intendo quel tipo di comparazione capace di generare un senso di inadeguatezza: per le mamme, che spesso inadeguate ci si sentono già da sole (ma la cosa vale anche per esperienze di viaggio, lezioni di lifestyle e Dio ci scampi dagli influencer che ostentano i regali ricevuti da brand famosi in cambio di un po’ di pubblicità), l’esibizione di modelli di maternità che sembrano ideali perfetti a cui tutte dovremmo tendere, ma che nella nostra esperienza di vissuto reale sono irraggiungibili, genera tantissima frustrazione. E tuttavia, quasi sempre, a qualche livello, percepiamo queste sensazioni negative come “ingiuste”. Perché, diciamolo subito, ormai sono 15 anni che abbiamo a che fare con i social e non siamo più così ingenui: razionalmente sappiamo benissimo che quello che stiamo vedendo sono solo pochi secondi artefatti nella vita di un’altra persona, che quella non è tutta la storia, che non esistono due individui con caratteri uguali e passati vissuti uguali e che, quindi, non è il caso nè ha senso mettersi a confronto. Eppure, qualcosa scatta lo stesso, tanto più se l’oggetto del confronto è qualcosa a cui teniamo. E può una mamma non tenere a qualcosa che riguarda lo sviluppo del suo bambino?

A questo punto, faccio un esempio personale, tanto per intenderci: se c’è una cosa che per mesi mi ha frustrata ogni volta che ho sentito parlare dell’argomento (o che ho visto foto/video in merito) è il rapporto dei bambini con lo svezzamento. Mi ero informata, ho fatto un corso con una nutrizionista, un corso di disostruzione pediatrica ed ero carichissima per seguire la strada del baby-led weaning e mia figlia di mangiare da sola con le sue manine sante non ne ha mai voluto sapere. Non che imboccata sia una mangiona, ma in ogni caso quello è l’unico modo per farle mangiare il suo piatto di pappa. Se dovessi aspettare di vederla mangiare un pasto da sola probabilmente, iniziando stasera, per maggio avremmo finito. Ora, indovina un po’ cosa mi ha proposto Instagram per mesi, ben oltre il mio periodo ossessione svezzamento, nella sezione reel? Video su video di bambini di 6 mesi che ingurgitano fusilli come se non ci fosse un domani, bambini che si ingozzano di spaghetti, piccoletti di meno di un anno che mangiano il purè da soli col cucchiaio e senza neanche sporcare più di tanto. All’inizio questa cosa mi mandava fuori dai gangheri: avevo studiato, fatto i corsi necessari per mettermi su quella strada e lo stesso avevo fallito. Mi dicevo che non ero abbastanza brava o abbastanza capace se tutte le altre mamme (un’entità generica e mitica) riuscivano con tale nonchalance a fare autosvezzamento con i loro bambini e invece io ero lì a penare per qualche cucchiaio di pappetta semisolida. Ogni foto, ogni video riusciva ad abbattere immediatamente qualsiasi residuo di autostima. Poi, un bel giorno, ho capito due cose:

    1. Se avessi voluto pubblicare un video di 15 secondi che mostrava mia figlia mangiare qualcosa da sola con le mani non avrei avuto alcuna difficoltà a farlo. Perché un conto sono i 15 secondi necessari a mostrare un bambino che si ficca qualcosa in bocca col suo pugno e un altro è tutto il resto della giornata;
    2. Nel mio dirmi che stavo fallendo e che ero una mamma incapace stavo dimenticando la variabile più importante dell’equazione ovvero la mia bambina, con i suoi bisogni e le sue inclinazioni. Ed è stato così che ho imparato una grande lezione sull’essere genitore.

È quanto mai facile dimenticare che ciò che vediamo sui social è soltanto un pezzetto infinitesimale della vita di un’altra mamma. Ancora più importante è interiorizzare che quello che vediamo è il frammento di vita che chi posta ha deciso di mostrarci, senza un contesto del prima e del dopo, quel pezzetto di idillio che piace esibire perché ci presenta desiderabili (meglio ancora se invidiabili) al resto del mondo. Solo ricordando tutto ciò possiamo interrompere la spirale del confronto malsano e fare un uso più consapevole dei mezzi che abbiamo a disposizione, senza arrivare all’estremo di cancellare tutte le app che invece, come ho poi scoperto, possono essere una risorsa davvero preziosa.

Ti è mai capitato di sperimentare la frustrazione da confronto sui social?
Cosa l’ha fatta scattare? Ti aspetto nei commenti per approfondire l’argomento insieme.

Ma un figlio ti cambia davvero la vita? SPOILER ALERT: la risposta è sì

<L’ho dichiarato subito nel post precedente, oggi si parla di quanto sia vera la frase “avere un figlio ti cambia la vita”. E ho dichiarato anche questo: probabilmente il tono di questo post finirà per essere più serio di quanto piace a me.>

Ora, alzi la mano chi non ha mai sentito dire la frase: “un figlio cambia la vita”. Questa affermazione viaggia da sè nell’aria e la prima volta che la sentiamo, spesso, siamo ancora solo ragazzini e non riusciamo neanche a concepire l’idea di poter avere figli, perché essere figli è l’unico ruolo che abbiamo mai sostenuto. Ci viene poi ripetuta di continuo nel momento in cui, mamme-o-papà-futuri, annunciamo ad amici e parenti di essere in attesa del primo figlio.

Ebbene, nella mia esperienza, mentre quasi tutto il resto di quello che mi è stato detto mentre ero incinta posso anche cestinarlo, questa frase si è rivelata più che vera. Tuttavia, vorrei subito chiarire che no, se parli con me, non devi immaginarti questa frase pronunciata con tono carico di nostalgia dalla zia Adelina che ha avuto figli nel Paleolitico. Perché, con tutto il bene, zia Adelina non se lo ricorda più che vuol dire avere per casa un bimbo piccolo, né sa cosa voglia dire crescerlo nel 2022 con tutte le difficoltà e le pressioni sociali che abbiamo in questo momento storico.
Un figlio ti cambia la vita ed è bellissimo, ma anche no. Perché è anche preoccupazione, fatica, esaurimento, prescrizioni sociali assurde, chat di gruppo di mamme, sensi di colpa, consigli non richiesti, sentenze sputate (spesso da altre donne, il che francamente mi fa girare parecchio), confronto non salutare, senso di inadeguatezza, frustrazione, competizione, mancanza di tempo per fare qualcosa solo per sè stessi. E tutto questo viene quasi sempre seppellito sotto il tappeto di frasi fatte su quanto sia bello e appagante essere mamma, unicorni rosa, arcobaleni, frutta candita, zucchero filato e tutto quanto di più melenso possiate immaginare. Il che, francamente, non aiuta nessuno.

Certo, ci sono tutte le cose meravigliose che la maternità può regalarti, ma perché omettere, se non addirittura negare, anche tutto quanto di meno bello c’è? Forse se dicessimo le cose come stanno, senza fare retorica nè temere facili giudizi, meno mamme si sentirebbero inadeguate nell’esercitare quel ruolo che dal giorno alla notte ti viene appioppato e sul quale, non importa quanti libri hai letto, non sai niente. Basta parlare con le neomamme a cuore aperto, scavare appena sotto la superficie, e “inadeguatezza” è una delle prime parole che salta fuori. Io mi ci sono sentita inadueguata (e, non lo nego, nelle giornate no mi ci sento ancora) ogni giorno per almeno i primi 4 mesi di vita di mia figlia e semplicemente perché la mia bimba “reale” era di quanto più lontano ci potesse essere dal bambino “da manuale”, quello presentato dai libri e ai corsi preparto, quello che mi dipingevano anche il pediatra e l’ostetrica del consultorio. Nella mia ignoranza, perché al primo giro quando ci si ritrova con un neonato fra le braccia si è proprio così, completamente ignoranti, ascoltavo e leggevo tutto e tutti e mi ero evidentemente fatta un’altra idea della maternità. Insomma, avevo nutrito delle aspettative che per alcuni genitori sono irrealistiche e mi sentivo anche un po’ tradita; tutto il mondo mi aveva venduto un’immagine distorta dell’esperienza, il sottointeso era che soltanto io non avevo avuto quello che avrei dovuto avere. Non riuscivo ad ammettere che, per quanto fosse difficile dover gestire una neonata che non riuscendo a dormire piangeva e urlava incessantemente, una neonata che aveva già un suo temperamento piuttosto spiccato fin dalle prime settimane, per quanto difficile non era anormale (e già questo non è che sia una grande consolazione quando ci si ritrova in un tunnel fatto di privazione del sonno e timpani a pezzi).

Non avendo però alcun metro di paragone ed essendomi sempre e solo sentita dire quanta gioia porta un bebè, doveva per forza esserci qualcosa che non andava, in lei e in me, e ho rivoltato Internet come un calzino più e più volte alla ricerca di qualcuno con la mia stessa esperienza o, almeno, di qualcuno che mi dicesse che anche lui si sentiva distrutto e affranto. Che mi dicesse che guardando gli altri neonati dormire nella loro navicella provava invidia. Quanto avrei voluto, in quei primi mesi, trovare su Internet anche un solo articolo che dicesse fuori dai denti: certi giorni fare la mamma è così difficile che vorresti solo saltare sul primo treno in partenza per non tornare mai più. Mi sarei sentita capita e rassicurata. Invece no: fra gli articoli che ho trovato in italiano (perché vi giuro che con pochissime ore di sonno tra giorno e notte non riuscivo neanche più a capire l’inglese) solo unicorni, arcobaleni, zucchero filato e così via. Salvo poi, nel mondo reale, scoprire che quasi tutte ci siamo ritrovate a formulare un simile pensiero e, immediatamente dopo, a giudicarlo non normale perché la società ci dice che “figlio=felicità incondizionata” e se non ti senti così h24, 7 giorni su 7, allora c’è qualcosa che non va in te: sei sbagliata, malata, bacata… e parte subito il mea culpa! con tanto di pugno battuto sul petto, per espiare. E dopo il mea culpa? Presto, veloce, seppellisci tutto per paura di essere giudicata.

Ha iniziato ad andare decisamente meglio quando, recuperato un briciolo di lucidità, ho smesso di leggere manuali alla “me e il mio bambino” per fare spazio all’istinto e ho spostato il mio sguardo su Instagram, dove ci sono profili, tendenzialmente non italiani, che raccontano la realtà più vicino a com’è veramente, con tutte le gioie e anche tutte le difficoltà che l’essere genitori comporta. In Italia, invece, corre l’anno 2023, ma quando si tira in ballo la figura mitica e intoccabile della Madre c’è ancora troppo “pudore”, troppa ipocrisia, troppa paura di essere giudicati.
Ma sapete che c’è? Io, alla fin fine, ho sempre avuto la capacità di fregarmene dei giudizi altrui e non intendo smettere di farlo adesso. Perciò, nel bene e nel male, dalle alte vette della meraviglia ai bassifondi della disperazione, con tutto quello che ci sta in mezzo, voglio raccontare senza peli sulla lingua il mio diventare, il mio crescere nel ruolo di genitore senza omettere quanto sia difficile questo percorso, sperando di essere di aiuto a una neomamma (e magari, magari anche a qualche papà) quando, nel suo momento di difficoltà, cercherà ossessivamente su Internet una panacea ai suoi mali. Perché, riprendendo anche il titolo del post precedente, sono sì una mamma, ma sono anche la persona di prima che con i suoi pregi e i suoi difetti pensa molto, non ha paura di esternare il frutto delle sue riflessioni e spera di trovare un confronto sereno per arricchirsi interiormente. Possibilmente con quella sana dose di ironia e quel tono di leggerezza che sento più mio.

Un nota bene che forse dovrei scrivere a caratteri cubitali: non sono un’esperta di niente! Non sono esperta di pedagogia, di educazione dell’infanzia, di neonatologia, di svezzamento, di gioco montessoriano, di un c@//Ø di niente. Tutto ciò che troverete qui è semplicemente il racconto della mia esperienza, gli spunti di riflessione che mi sono venuti vivendo la quotidianità, il tentativo di “buttare fuori” le cose come a me sembra che stiano, con la grande speranza che la mia sincerità possa essere d’aiuto ad altri e fare del bene, anche se solo per i cinque minuti che servono a leggere un articolo di blog.